Classe ’95, catanzarese, diplomato allo scientifico, si è laureato in legge alla Luiss e ha iniziato a lavorare in Cassazione. L’idea di non rimanere nella sua terra e conseguire gli studi in Calabria era per “poter farcela da solo” e dimostrare di potersi svincolare dal legame familiare e non essere categorizzato come “il figlio di…”
Quanto c’è di te in questo libro?
Di me in questo libro c’è abbastanza. C’è il me come osservatore di eventi. Di essere lì a vedere certe cose. Sono quasi tutte storie di cose che ho visto e che, anche se non fanno parte del mio mondo, in qualche modo le ho trovato vicine. Sono fatti, eventi di cui ho sentito certi dialoghi e che riguardano tematiche di cui molte volte non si discute.
Come il suicidio…
Si quella è ovviamente una tematica che non mi appartiene nel senso che non ho vissuto, ma comunque mia sembrava giusto parlarne. Passa molto spesso in secondo piano. E non mi riferisco al suicidio come tematica parallela alle malattie mentali, ma proprio come una serie di argomenti che riguardano l’umanità e che, in maniera stereotipata, uno tenta di non vedere. Molti personaggi del mio libro non vengono presi sul serio dalla società, e sono così tralasciati sotto forma di indifferenza perché non vengono reputati degni di una certa umanità e per questo arrivano a quel punto. Una cosa infatti a cui ho tenuto molto è l’apertura e la chiusura del libro che si incentra sul tema della morte. Nel primo racconto ho voluto inserire volutamente una storia di speranza, quindi una sorta di apertura. Nell’ultimo, che è “Matilde”, questa speranza viene meno.
Una speranza che finisce totalmente si può dire…
Eh sì, la chiusura infatti è la vera fine. Ma come sempre ogni fine si rivela un nuovo inizio.
Ed è per questo che i personaggi sembrano immobili?
Il vero principio del libro è che siamo molto spesso immobili nelle nostre scelte, mettendoci da soli con le spalle al muro. Davanti a determinati eventi nel dubbio uno si lascia – metaforicamente – quasi “rotolare”. Si lascia trascinare in eventi fin quando non ce la fa più.
Ci sono state volte in cui ti sei sentito così?
Si ma penso che sia una sensazione comune a tutti. Più che immobilismo è una questione di inerzia.
Può essere questo secondo te un problema generazionale?
No, non penso. C’è invece un po’ un rifiuto dell’immobilità. Quello che vedo io invece è che la nostra generazione ha il problema di non riuscirsi a confrontare con il vuoto. Ci riempiamo la giornata di cose pur di sfuggire a certe cose.
È anche una generazione che non prende posizione…
Più che non prende posizione vedo una generazione abbastanza egoista. Siamo tutti concentrati su noi stessi e non badiamo mai ai bisogni degli altri.
Nel tuo libro un po’ si vede anche questa caratteristica dell’inerzia…
Sì, assolutamente. Quello che ho voluto fare è cercare di far entrare il lettore nella situazione dei personaggi dei racconti. Siamo molte volte così egoisti da pensare che certe situazioni non potranno mai toccarci come ad esempio nel racconto “La signorina de la Rouge” che non è una persona ai margini della società, ma che poi si ritrova nella stessa situazione magari di un operaio. E non si parla di questioni economiche, ma di eventi che bene o male ci accomunano tutti.
Qual è dunque la sofferenza del pesce rosso?
Vivere in un’ampolla che – metaforicamente – significa far finta di niente. La cosa più grave dell’ampolla non è starci, ma non rendersene conto. Non parlo di dover salvare i mondo, ma mi riferisco allo stare in un’ampolla in termini di empatia. I miei personaggi alle nelle prime pagine non suscitano alcun tipo di empatia e il mio intento è stato quello di portare il lettore ad immedesimarsi per poi provarne una certa compassione e quindi a non stereotipare le vite degli altri.
La stereotipizzazione della vita degli altri è tipica del Sud?
Si etichetta più facilmente, ed è un grosso limite umanamente parlando. Si dice “quella è una puttana, quello è un ladro, quello è un stronzo” con molta facilità, quando invece la realtà è più complessa.
Cos’è che accomuna tutti i personaggi?
Sono tutte morti evitabili. Erano tutte persone che potevano salvarsi.
(Per consultare il libro “La sofferenza del pesce rosso” potete cliccare qui)
Illsutrazione a cura di Aldo Pipicelli