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Tangerinn. L’esordio letterario della scrittrice calabrese Emanuela Anechoum

Tangerinn è l’esordio letterario di Emanuela Anechoum per Edizioni e/o. A pochi mesi è già uno dei sei romanzi vincitori del Premio Selezione Bancarella 2024 e uno dei sei romanzi finalisti della 72a edizione del Premio Bancarella 2024. Del libro, inoltre, hanno già acquistato i diritti in Germania, Francia e America.

La scrittrice, oggi di stanza a Roma, nasce nel 1991 a Reggio Calabria da madre calabrese e padre marocchino e sin da piccola è attratta dal mondo dei libri, tanto che dopo gli studi tra Milano e Londra inizia a lavorare in editoria dove si occupa tutt’ora di foreign rights.

Emanuela Anechoum

Hai esordito con e/o, la casa editrice che ha pubblicato L’Amica Geniale. Mica robetta. Come sta andando?

Senza dubbio meglio di quanto pensassi. Sono del settore e so bene che spesso gli esordi sono difficili da far emergere, spesso cadono nel mucchio perché obiettivamente escono troppi titoli.

Questo romanzo è stata una necessità o semplice voglia di metterti in gioco? Quando ti sei detta ‘Ok, ora tocca a me’?

Ci sono un sacco di lavoro, di ansia e di senso di esposizione, notti perse e cinque anni per scriverlo: se non fosse stata una necessità probabilmente non lo avrei fatto.
Avevo un sacco paura a farlo leggere a gente che mi conosceva e, in piena sindrome dell’impostore, avevo il terrore di coprirmi di ridicolo qualora non fosse piaciuto o non fosse stato all’altezza. Ci ho messo un bel po’ a trovare il coraggio, mi sono dovuta ubriacare per farlo leggere alla mia collega Eva.
Un percorso tortuoso ma credo che se non avessi avuto il bisogno di tirare fuori e scrivere non avrei avuto la determinazione di portarlo a termine. Non è stato leggero, ecco.

Nella storia di Mina, la protagonista, c’è il desiderio che accomuna un po’ chiunque abbia vissuto la condizione da fuori sede, cercare e creare sé stessi riflettendo sulle proprie radici e sulla propria identità. Ti sei mai sentita completamente straniera?

Completamente straniera no. Io ho sempre vissuto al contrario quel sentimento per cui quando vai in un posto lontano ti senti più appartenente alla tua terra di quanto non ti ci sentissi quando ci vivevi. Quando ho studiato a Milano frequentavo principalmente calabresi e sentivo forte il mio nucleo lì, mi sentivo a casa. Quando sono andata a Londra invece mi sentivo parte di una comunità di lettori, lavoravo in un settore che amavo molto, mi sentivo molto capita perché condividevamo letture, valori e la stessa formazione. L’editoria alla fine è una bolla che ci accomuna molto. Forse l’unico posto in cui mi sentivo più fuori posto è sorprendentemente proprio la Calabria perché ero adolescente. Ora però quando ci torno mi sento davvero a casa.

In Tangerinn c’è una forte empatia verso le persone migranti, la comprensione dell’altro, oltre a una limpida descrizione di un paesaggio di mare. Ti concedi persino una piccola frase in dialetto reggino. Hai mai pensato di provare a restare per cambiare qualcosa?

Non mi è mai capitato perché purtroppo sono cresciuta sapendo che sarei andata via. Già da piccola sapevo che avrei fatto molti passi fuori. Ho cominciato a capire cosa volessi fare intorno ai 16 anni e sapevo che avrei voluto lavorare con i libri e che a Reggio Calabria non si poteva. Avrei potuto potuto pensare di lavorare in libreria lì ma non era nei progetti familiari né nei miei. I miei sapevano che dovevo realizzarmi fuori da lì.

Non ho mai pensato davvero di restare, forse a volte mi è capitato di pensare a tornare ma mai in modo programmatico. Mi viene da pensare al mare, voler vedere i genitori invecchiare, cose emotive che mi fanno rendere conto di essere lontana. Da quando sono a Roma però questo lo sento meno perché tutto sommato è vicina, quindi mi sento un po’ tornata dopo dieci anni tra Milano e Londra.

Mina ha un forte anelito di libertà personale e autodeterminazione, soprattutto in rapporto alla famiglia e alla terra d’origine. Cosa ti accomuna a lei e in cosa siete dissimili?

Il dissidio di Mina non l’ho avuto nella mia vita personale, sento di essere stata molto privilegiata. A lei ho affidato una serie di sensazioni e osservazioni della realtà che vengono anche da un background che non è il mio. Ho proprio puntualmente cercato di creare quella separazione e differenza tra me e lei proprio per ragionare sul mio privilegio e su come io mi sono mossa nel mondo avendo sempre le porte aperte e lei no, e quello fa una differenza nel modo in cui ti senti in un luogo.

Di cose in comune con Mina ho sicuramente tutta una serie di osservazioni e sentimenti ambivalenti nei confronti della realtà in cui viviamo. Anche io mi sono molto interrogata sull’essere giusta, voler appartenere, come lei sono stata insicura, fare insomma quel tipo di cose che ti fa sentire giusta.

Il romanzo è uscito da pochissimo. Come lo descriveresti a chi ancora non lo ha letto?

Oddio, la domanda più difficile del mondo!
Io per lavoro faccio i pitch, cioè descrizioni di romanzi in poche frasi accattivanti per gli editori stranieri che devono comprarlo. Ecco, riesco a farlo di qualsiasi libro tranne del mio.

Credo sia un romanzo sui luoghi e su quello che i luoghi ci fanno, su come i luoghi ci definiscono. È anche però un romanzo di un amore enorme tra padre e figlia che non si conoscono del tutto e quindi un romanzo di invenzioni di rapporti, ma anche di identità e di memoria. Alla fine è la storia di una ragazza che è così spaventata dal vivere la vita reale che si inventa tantissime cose per proteggersi, in parte anche suo padre per proteggerne l’immagine, perché non riesce a vivere la vita reale.

Imparare a viverla è qualcosa di fondamentale secondo me nel passaggio tra i 20 e i 30 anni. Nei 20 anni viviamo ancora di fantasie, mentre nei 30 bisogna concretizzare e lei ha una grande difficoltà a farlo e non è aiutata dalla società, che spesso la respinge.

Da esordiente e addetta ai lavori, consigli a giovani emergenti?

Intanto finirlo per poter sperare che possano volerti leggere e pubblicare. Io ne ho scritti un milione prima di questo, lasciati lì a metà o all’inizio!

Poi, la scelta dell’editore deve essere pensata, verso qualcosa che abbia senso o studiando i cataloghi delle case editrici o cercando un agente.

Un altro consiglio, cinico perché sono romantica e cinica al tempo stesso, è di non lasciare mai il proprio lavoro.

Anche avere aspettative molto basse secondo me aiuta, specie se non si conosce bene la macchina editoriale. Se l’editore ti ha scelto non significa che lo faranno anche i lettori.
Averle molto basse mi ha aiutato anche tanto a divertirmi. Da quando è uscito il libro ogni cosa che succede è bellissima e se non succede, amen. Premio o non premio che si vinca, il bello è andare in libreria o nel tuo vecchio liceo e incontrare lettori e lettrici che apprezzino.

Per me non serve poi tanto per trovare il senso della scrittura.

Per concludere, torno a quando prima dicevi che fosse necessario scriverlo. Secondo me un libro così è anche necessario leggerlo, soprattutto in Italia in questi tempi nostalgici di un passato non troppo lontano.

Credo che la nostalgia di tempi andati che si sta vivendo negli ultimi tempi sia inutile perché ormai viviamo in un mondo post-globalizzato, in cui la migrazione è una costante di ogni popolo, non solo di quelli che nello stereotipo hanno bisogno. Ormai tutti viaggiamo da un posto all’altro per svariati motivi. L’Italia è già mescolata e quindi il processo non si può fermare. Chi è al governo di fatto non mi spaventa perché credo fermamente che quello che vogliono frenare ed evitare è già successo.

Se poi ci creano le condizioni di tornare non è che un arricchimento per l’Italia, se non ce le creano finiremo tutti altrove.

Guarda chi scrive, come me o Mohamed Maalel, guarda Mahmood o Ghali: ormai quel tipo di persone siamo qua, esistiamo e non smetteranno di arrivarne altri e di mischiarci ancora. Siamo tutti ormai in viaggio.

Immagine in evidenza di John Fante Festival