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Storie di calabresi: lo scrittore Leonida Rèpaci

Di tanto in tanto sui social spunta una frase attribuita al filosofo Giovan Battista
Vico: «Quando Roma era un villaggio di pastori, a Crotone insegnava Pitagora» .
Ma sarebbe anche il caso di aggiungere: «Sono convinto che se non fossi nato in
Calabria forse non sarei diventato scrittore».
Lo ha detto Leonida Rèpaci.

A fare la storia culturale di un Paese ha dato il suo contributo un po’ chiunque e in
ogni ambito creativo. E come ogni arte, anche la letteratura ha visto il suo setaccio permettendo ad alcuni di entrare – a buon diritto e non – a far parte della candida rosa degli intellettuali che hanno reso illustre la tradizione di una nazione, con un eco che si
riverbera spesso anche all’estero, e ad altri di rimanere in una condizione
subordinata, eclissata nel mondo culturale della nazione stessa per i motivi più
disparati. Inevitabilmente?

Senza dilungarsi troppo sui veri motivi, l’avverbio e il punto interrogativo sono
volutamente provocatori e tanto basterebbe a stuzzicarci facendoci sorgere la
domanda: “Ma io in effetti quanti nomi di scrittori e scrittrici italiani conosco?”, alla
quale di sicuro farebbe da contraltare una banalissima “Solo quelli che ho studiato
al liceo”.

Nonostante sia indiscutibile la sua importanza nel mondo della cultura e della
storia del Novecento italiano, Leonida Rèpaci, nato nel 1898 a Palmi in provincia
di Reggio Calabria, rimane una delle voci culturali più importanti e meno
menzionate nel nostro paese,
oltre a essere poco conosciuto nella propria regione
natìa, in quella che è quasi una una sorta di “questione meridionale” della cultura.

Lungi dal voler scadere in discorsi vittimistici e campanilistici, definirlo
semplicemente ‘scrittore’ risulta alquanto riduttivo tanto quanto è impossibile
tracciarne un profilo esaustivo nelle battute di un articolo a lui dedicato.
Leonida Rèpaci era al contempo una e più cose perché sapeva come esserlo.

Rèpaci è stato tutto ciò che un intellettuale era capace di essere e di fare
nell’epoca in cui è nato e ha vissuto, dissidente e critico verso lo status quo
, un
uomo spinto dalla ferma volontà di rispondere al potere attraverso l’attivismo
politico a tal punto da mettere a rischio anche la propria vita e la propria
reputazione.

Il Rèpaci uomo ha vissuto il terremoto di Reggio e Messina del 1908, la morte di
un padre in tenera età, il distacco dalla famiglia per andare a studiare a Torino, la
perdita di due fratelli e una sorella a causa dell’epidemia di spagnola, il carcere e
l’esperienza in guerra.

Il Rèpaci politico è stato antifascista – aggettivo oggi sempre più inviso e sempre
più attuale – e protagonista dei maggiori avvenimenti storici del Novecento, dalle
due guerre mondiali al Dopoguerra, fondendo sempre attivismo e intransigenza ideologica al suo carattere ribelle, il che lo portò spesso a sfiorare il potere
costituito sempre da molto vicino.

Il Rèpaci scrittore ha firmato quotidiani come La Stampa e l’Unità, ha collaborato
con Antonio Gramsci e scritto romanzi, poesie, saggi, drammi, come L’ultimo
cireneo, Racconti della mia Calabria
e Storia dei fratelli Rupe, ed è stato fondatore
quasi 100 anni fa del Premio Viareggio, uno tra i più prestigiosi premi letterari a
livello nazionale, di cui è stato direttore fino all’anno della morte.
Nel 1959, inoltre, è stato anche protagonista de ‘La Dolce Vita’, il capolavoro di
Fellini
, dove è presente un cameo nel quale interpreta sé stesso.

E Leonida Rèpaci ha interpretato se stesso per tutta la vita, senza mai scendere a
patti né con gli uomini né con la realtà che lo circondavano.

Come era la vita, così andava raccontata. Un’esperienza di vita vissuta in pienezza e che ha riversato nei suoi libri e in ogni suo scritto con una miscela perfetta di realismo e lirismo; gli stessi per i quali traeva ispirazione anche dalla sua terra, la Calabria.

Un territorio, in particolare quello della sua Palmi, che definì “presepe buono,
pastori malvagi”. Palmi è la città natale con cui l’autore si confronta e verso cui
nutre sentimenti contrastanti che lo portano a instaurare un rapporto controverso,
soprattutto dopo l’arresto nell’agosto 1925 come presunto assassino di un gerarca
fascista del luogo, in seguito al quale venne inaspettatamente assolto.
Questo episodio della sua vita compromette per sempre la sua reputazione e il
suo rapporto con i concittadini con diffidenze e sospetti, poiché si diceva ci fosse
stata l’intercessione di esponenti del Regime nella sua assoluzione.

Nonostante questo avvenimento, Palmi è sempre stata presente nei suoi pensieri
di scrittore come Gràlimi (lacrime) o Sarmura (acqua salata): una città che in
fondo ha amato profondamente e nella quale aveva stabilito il suo buen retiro
insieme alla moglie Albertina a Villa Pietrosa, su una scogliera a picco sulla Costa
Viola del Mar Tirreno, donata al Comune di Palmi perché venisse valorizzata,
utilizzata poi come residenza per giovani artisti.

Leonida Rèpaci è figlio di quella Calabria che resiste attraverso la cultura
all’avanzare di una realtà e di una società che spesso è in dissonanza, con la
quale non si integra per non disintegrarsi, con la quale vive in controtendenza.

In un’intervista Fabrizio De Andrè una volta disse che l’artista non deve integrarsi
perché “l’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere”.
E Leonida Rèpaci non fa eccezione.