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La “restanza” di Vito Teti ci insegna che il vero viaggio è restare in Calabria

È ormai cosa scontata dire che la Calabria sia terra di migrazioni. Solo negli ultimi due anni, la nostra regione ha perso 64.940 abitanti. Ma chi sono i maggiori protagonisti di questo spopolamento? Quali sono le vere motivazioni che spingono i ragazzi ad andare via? Lo studio? Il lavoro? Perché, per essere felici o sereni, è necessario prendere un treno e partire? A queste domande è difficile, se non impossibile, dare una risposta certa e univoca. I giovani partono, e questo è quanto.

L’emigrazione giovanile in Calabria: i dati di chi va via

A sottolineare l’impatto dell’emigrazione giovanile sono i dati Istat relativi al 2019, secondo i quali, la popolazione cresce al Nord e al Centro ma cala nel Mezzogiorno. Rispetto al 2011, si è osservato un calo della popolazione nell’Italia Meridionale e nelle Isole (rispettivamente -1,9% e -2,3%), e una crescita nell’Italia Centrale (+2%) e in entrambe le ripartizioni dell’Italia Settentrionale (+1,6% nell’Italia Nord-orientale e +1,4 nell’Italia Nord- occidentale). Secondo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno), uno studente nato al Sud su quattro decide di frequentare l’Università nelle regioni settentrionali. Si potrebbe pensare che in un adolescente medio calabrese si insinui, quasi come una malattia permanente, l’insofferenza e l’insoddisfazione. Ad un certo punto il mare, il sole, le montagne non bastano più. Quello che in genere risulta essere rassicurante, improvvisamente diventa opprimente.

Il “controesodo”: la pandemia e il South Working

Eppure, la pandemia da Covid-19 ha prodotto un vero e proprio controesodo. Un ritorno forse dettato dal timore di non poter più tornare. Come dimenticare le corse notturne di giovani verso treni e autobus diretti a Reggio Calabria. Un paradosso mai visto. Dalla Lombardia alla Calabria con trolley o borsoni, poche cose prese all’improvviso per paura di restare al Nord. Ed ecco, che per la prima volta abbiamo sentito parlare di Lockdown, di DAD e di “Smart working”. Termini nuovi che sono entrati nella nostra quotidianità e nella maggior parte dei casi si è dato importanza su tutta una serie di parole legate alla distanza. Un nuovo termine coniato nel 2020 è South Working. Cos’è veramente? 

Il South Working è un fenomeno che ha reso protagonisti i giovani lavoratori del Nord, che hanno potuto trascorrere periodi di lavoro in smart working nei loro territori d’origine. Tante aziende, infatti, hanno concesso di lavorare a distanza e questo, per molti ha rappresentato un’occasione per tornare a casa dalla famiglia, che erano soliti vedere durante le festività. C’è stato un vero e proprio ripopolamento dei piccoli borghi che ha rappresentato molti vantaggi non solo per il benessere psicologico delle persone che sono tornate, ma anche per l’economia che ha visto crescere i consumi e il reddito. Molti di questi giovani hanno deciso di restare, continuando a lavorare da remoto.

Il 2021 può essere l’anno della svolta della Calabria. Anche la televisione statunitense CCN si è interessata al progetto pensato dalla Regione Calabria per rivitalizzare nove piccoli borghi calabresi: Aieta, Albidona, Bova, Caccuri, Civita, Samo e Precacore, San Donato di Ninea, Sant’Agata del Bianco e Santa Severina, che potrebbero   vedere l’insediamento di nuove attività turistiche e commerciali create dai giovani. L’obiettivo è quello di offrire fino a 28,000 euro per massimo 3 anni, a supporto di coloro che vogliano trasferirsi nei borghi con appena 2000 abitanti, nella speranza di contrastare il processo di spopolamento e desertificazione. E allora…Non ci resta che restare.

“Restanza”: quando il vero viaggio è restare in Calabria

Foto del progetto “A scuola per restare”

C’è un termine che – al contrario di ciò che sentiamo dire su “fuga dei cervelli” ed emigrazione giovanile – si riferisce a chi sceglie di rimanere in Calabria: “restanza”. In senso proprio e figurato, si riferisce a “ciò che resta e permane” – così c’è scritto sul vocabolario Treccani. Ideatore, in parte, di questo neologismo è il professore Vito Teti che analizza il fenomeno nel libro Pietre di pane. Un’antropologia del restare. Per Teti fondamentale è considerare la posizione di chi decide, per scelta, di rimanere in Calabria. I cosiddetti “restanti” devono saper affrontare il viaggio rimanendo in quei luoghi che appaiono ormai vuoti, cercando di creare qualcosa di creativo, partendo sia dalle emozioni positive ma soprattutto da quelle negative che quei luoghi trasmettono. Accettare il buio, il lato oscuro, le conseguenze di quello che non abbiamo saputo o potuto fare, partire dalle rovine per poter rinascere. Analizzare di continuo la propria solitudine, il proprio turbamento, riscoprire la bellezza della sospensione, della lentezza, del silenzio, del raccoglimento, diventa la nuova sfida. Per i “Restanti” è importante capire come restare, che non significa staticità, immobilità o chiusura ma saper affrontare con un atteggiamento propositivo, tutte le insoddisfazioni tipiche della nostra terra, superarle e trovare nuovi elementi, facendo di questa condizione il motore di un nuovo modo di restare in Calabria. 

“Ricordatevi che il vero viaggio è restare, non abbiate paura di risultare poco coraggiosi, qui c’è tanto da fare, la Calabria ha bisogno di voi.” Queste parole sono state dette dal professore Vito Teti durante una lezione universitaria e sono dentro di me da parecchio tempo. Per questo credo che sia giunto il momento di dare voce a tutte quelle vite che hanno deciso, per scelta, di rimanere in Calabria. Tutte quelle anime, che come cavalieri erranti, nonostante il dolore, l’insoddisfazione, l’inadeguatezza e la delusione, stanno facendo della nostra terra un posto migliore. Come sottolinea Vito Teti: “Restare è un’arte, un’invenzione; restare è un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare.”