Solo qualche settimana fa, in un nostro articolo abbiamo parlato di come negli ultimi dieci anni siano più di 92 mila i giovani dai 18 ai 35 anni ad aver lasciato la Calabria e ben quattro province calabresi su cinque figurano nella classifica italiana delle dieci più spopolate. Al contrario, viviamo giornalmente con i media che ci bombardano di notizie sul sovrappopolamento del Nord Italia e il caro affitti con giovani costretti a vivere in abitazioni fatiscenti o che non riescono ad arrivare a fine mese perché la spesa dell’affitto prende quasi tutto lo stipendio. La vita invivibile al Nord potrebbe far riconsiderare ai giovani di tornare nella propria terra? Insomma, si potrebbe immaginare un’emigrazione inversa, da Nord a Sud?
Emigrazione da Sud a Nord: una storia che si ripete?
Il fenomeno migratorio che interessa il Sud Italia prende avvio negli anni del boom economico, quando dalle aree interne dell’Italia meridionale inizia un movimento di massa verso le città settentrionali. In questo periodo la struttura produttiva della penisola muta profondamente, creando un profondo divario economico, sociale e demografico tra Nord e Sud.
Tuttavia, ridurre il fenomeno migratorio alla mera incapacità del Sud di stare al passo con gli sviluppi economici dell’epoca risulterebbe estremamente miope. Si tratta, infatti, della risultante di una serie di fattori, come gravi calamità naturali che isolano alcuni territori e un’atavica cattiva amministrazione, causa ancora oggi di uno stato di arretratezza e povertà notevole, in particolare se comparato al costante sviluppo dei territori settentrionali.
Oggi più che mai si assiste a un massiccio esodo delle popolazioni più giovani che cercano nelle regioni settentrionali maggiori opportunità sia dal punto di vista accademico che lavorativo: il Nord del nostro paese offre spesso maggiori possibilità professionali e realizzative, atenei più organizzati, servizi migliori e più efficienti. Gli alti tassi di disoccupazione, le condizioni infrastrutturali, le aree di marginalità estrema e di criminalità diffusa a Sud dello Stivale caratterizzano chiaramente la fragile struttura economica e sociale del Mezzogiorno, apparentemente incapace di sfruttare le proprie caratteristiche e peculiarità.
Tuttavia, sebbene dati o indagini statistiche sul tema sembrino confermare che il già lampante divario tra Nord e Sud non può che continuare a crescere, di concerto sembra diffondersi sempre più l’idea che il Nord non goda di un ottimale livello di vivibilità, sia in termini economici che della qualità della vita.
La vita “invivibile” al Nord Italia
Negli ultimi otto anni, infatti, i prezzi degli affitti dal Centro al Nord Italia sono aumentati del 39%, registrando nel 2023 un aumento del 5,4%. (Immobiliare.it). Chiaramente, questo aumento colpisce principalmente le grandi città: in testa Milano, seguita da Firenze, Roma e Bologna, alle quali di recente si aggiunge la realtà napoletana.
Questo vertiginoso aumento degli affitti trova le sue cause in uno squilibrio tra domanda e offerta, determinato da un aumento di affittuari e da una disponibilità inversamente proporzionale di abitazioni, la maggior parte delle quali adibite a case vacanza. Contestualmente si assiste ad una crescita del tasso di inflazione che determina un aumento del costo di beni energetici, generi alimentari ma anche dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona; al tutto si aggiunge l’incapacità di generare salari proporzionati ad un tale aumento dei prezzi. Il risultato di questa triste equazione è un netto peggioramento della qualità della vita, rappresentato dagli studenti in presidio, in tenda, alle porte delle università italiane ormai da mesi.
Da Nord a Sud: utopia o strada praticabile?
Date queste premesse, un’inversione di tendenza che possa causare, nel lungo periodo, una consistente “migrazione di ritorno” da Nord a Sud è soltanto un’utopia? Questo fenomeno, studiato prevalentemente in relazione ai percorsi migratori transnazionali, può essere accelerato o rallentato da diversi fattori.
Il forte legame con la terra d’origine non è sufficiente a trattenere chi parte, è necessario cercare di comprendere i modi migliori per sfruttare le capacità e peculiarità locali, oltre gli stereotipi che raccontano, ad esempio, che si potrebbe vivere di solo turismo, e fare in modo che si realizzino le condizioni per avere la libertà di decidere di restare, di tornare… o di arrivare: così come ha deciso Georg Gottlob, informatico di fama mondiale, che ha lasciato la propria cattedra alla University of Oxford per insegnare all’Università della Calabria.
Un indicatore interessante in merito è quello relativo alla capacità attrattiva universitaria delle regioni, calcolato sulla base del rapporto fra immatricolati iscritti nelle sedi della regione e immatricolati al sistema universitario residenti nella regione stessa. Nonostante il saldo per la Calabria sia negativo, per i motivi espressi in precedenza, il trend è in miglioramento. A riprova di ciò, in controtendenza con il resto del paese, è l’unica regione che ha visto una crescita (+ 46%) delle domande di iscrizione al Corso di Laurea in Infermieristica.
L’inversione di rotta da Nord a Sud e il Southworking
Un evento chiave di questo percorso si verifica nel 2020, quando i primi accenni di lockdown causano una sorta di migrazione di ritorno “forzata”. Al netto della drammaticità della situazione, in quell’occasione migliaia di giovani si muovono in massa da Nord a Sud. Ciò costringe le università, le aziende e persino la Pubblica Amministrazione a rivedere le proprie modalità di erogazione dei servizi, migliorando i propri sistemi telematici, facendo un massiccio ricorso al sistema del telelavoro, comunemente noto come smartworking.
Si verifica così un sostanziale indebolimento del legame fra luogo fisico e svolgimento temporale del lavoro, il quale permette al Southworking di iniziare a diffondersi: con questo termine si fa riferimento alla possibilità di esercitare la propria professione per datori di lavoro con sede al Nord e all’estero da remoto, direttamente dal Sud, saltuariamente o in pianta stabile. Secondo una stima della piattaforma southworking.org, durante il periodo pandemico almeno 100.000 lavoratori hanno usufruito di questa possibilità. Ciò ha comportato dei benefici, in termini economici e sociali, che, per essere mantenuti, avrebbero dovuto essere sostenuti da un contestuale rafforzamento di politiche abitative e infrastrutturali, anche favorendo la nascita di quegli spazi comuni di lavoro, studio e socialità – anche detti coworking – che Mario Mirabile definisce “presidi di comunità”.
Se non del tutto, ma quantomeno in parte, il Southworking potrebbe essere una soluzione allo spopolamento dei territori calabresi che, in maniera inversa al problema del caro affitti del Nord Italia, negli ultimi ha va visto un aumento progressivo delle abitazioni disabitate: i numeri peggiori si registrano a San Nicola Arcella (CS), dove su 4932 case totali, 4029 sono inabitate (81,7%); a seguire si trova Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (CZ), con il 78% di case inabitate. Percentuali di questo tipo si distribuiscono su tutto il territorio calabrese: Staiti, nel reggino, registra quasi il 76% di case inabitate; Polia (VV) il 73%; Savelli (KR) il 71%. La Calabria si colloca così in terza posizione per numero di immobili inabitati, tanto che in alcune zone la vendita degli immobili ha il costo di un caffè al bar.
Tuttavia, si registrano anche note positive. Già nell’aprile dello scorso anno la Dott.ssa Amalia Bruni (ex candidata alle elezioni regionali 2021) ha portato una proposta di legge in Consiglio regionale, evidenziando come il southworking potesse rivelarsi uno strumento utile per valorizzare e ripopolare le aree interne della Calabria.
Il concretizzarsi di una tale realtà può produrre un vantaggio su due fronti: da un lato, si configura come occasione per potenziare le infrastrutture digitali, consentendo di inserirsi nel sistema di incentivi e finanziamenti, coinvolgendo le comunità e gli stakeholders locali in un’ottica di sviluppo virtuoso; dall’altro lato, si crea un nuovo concetto di lavoratore e di comunità: il primo non sarebbe più costretto a sottostare a dinamiche di sacrifici e rinunce; le comunità, poi, avrebbero la possibilità di rinascere sotto un nuovo impulso economico e sociale, ripopolando quei territori che, altrimenti, rischiano di diventare paesi fantasma.
Gianfranco Jannuzzo, attore siciliano, in un celebre sketch sogna un’Italia capovolta, in cui il triangolo industriale Cosenza-Avellino-Matera traina l’intera economia del bel paese: al di là dell’iperbole, un futuro diverso, fatto di ritorni e di nuovi arrivi, è soltanto un’utopia o una strada praticabile?
Articolo a cura di Gianfilippo Greco e Martina Russo
Cc immagine in evidenza da post su Facebook di Franco Arminio