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La Calabria non è più una terra incontaminata

È il 2014 quando viene desecretato un rapporto dei servizi segreti circa la presenza di rifiuti tossici nel sottosuolo calabrese. Si tratta del dossier 588/3 del Sisde (ex servizio segreto civile, oggi Aisi), e ciò che ne emerge ha dello sconcertante: oltre a confermare la presenza di scorie tossico-radioattive in particolare nelle aree delle serre vibonesi (Serra San Bruno e dintorni) e della “fascia aspromontana del Reggino”, il documento parla dell’esistenza di un traffico nazionale ed internazionale di rifiuti pericolosi, gestito dalla ‘ndrangheta.

Seppur tale dossier fosse riferito al periodo 1994-1995, sono numerosi gli elementi che hanno dimostrato le conseguenze nefaste di tali pratiche al giorno d’oggi, come vedremo in seguito. Non appena fu resa nota la pubblicazione del dossier, la Prefettura di Vibo Valentia si mosse per far luce sulla vicenda. Ad occuparsi del conseguente monitoraggio fu il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Reggio Calabria, unitamente all’Arpacal, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria. I risultati del monitoraggio non furono mai resi noti, ma i carabinieri rassicurarono i sindaci dei comuni coinvolti circa l’esito negativo delle indagini. Le verifiche effettuate possedevano però importanti limiti in quanto non vennero esaminati i centri abitati superiori ai 2 km quadrati né le zone con pendenza superiore ai 15 gradi.

Nel 2016, l’Istituto Superiore di Sanità rende noto uno “Studio epidemiologico dei siti contaminati in Calabria”. Tra le altre cose, lo studio si proponeva di esaminare in particolare alcune aree della regione, tra cui le serre già menzionate, con i comuni di Fabrizia, Mongiana, Serra San Bruno, e poi Crotone, Cassano-Cerchiara, Lamezia Terme, Davoli e Valle dell’Oliva nel Cosentino.

Nella maggior parte dei casi, venne fuori un eccesso di mortalità generale e di tumori rispetto alla media regionale, e, in alcuni casi, nazionale. Lo studio si concludeva esprimendo la necessità di ulteriori approfondimenti circa questa tematica così delicata, in quanto, non essendo noti con esattezza i composti di tali scorie radioattive né la loro posizione esatta, era difficile stabilire con assoluta certezza che nesso vi fosse tra queste ultime e i dati sopraelencati.

Nel 2018, però, un nuovo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità ha individuato in Calabria 73 aree a rischio marginale, 262 a rischio basso, 261 a rischio medio, 40 a rischio alto. Tra quest’ultime, 18 sono le più pericolose e sono così localizzate: 7 si trovano nel Cosentino, 2 nel Catanzarese, 1 nel Vibonese, 8 nel Reggino e 2 a Reggio città. Nel 2021, poi, ci pensa l’ inchiesta “Mala pigna” (che conduce all’arresto di 29 persone) a dimostrare la presenza di rifiuti di tipo metallico/automobilistico, estremamente dannosi, nel sottosuolo di alcune zone agricole dell’area di Gioia Tauro.

Calabria e “Le navi dei veleni”

Il quadro della situazione appare già sufficientemente allarmante, eppure è doveroso menzionare quanto emerso negli ultimi anni circa le c.d. “navi dei veleni”.
Per “navi dei veleni” o “navi a perdere” si intendono quelle imbarcazioni affondate nel Mediterraneo nei decenni passati, nelle quali sarebbero stati depositati carichi di scorie radioattive, il cui smaltimento illegale in alto mare sarebbe stato ovviamente meno esoso dello smaltimento legale.
Ad oggi, tuttavia, non esistono prove concrete di quanto appena detto, ma a tal proposito sono di assoluta rilevanza le dichiarazioni di alcuni pentiti di ‘ndrangheta e del potente boss della Camorra Carmine Schiavone, i quali ne hanno confermato l’esistenza, seppur non siano riusciti a localizzare geograficamente tali relitti.

A conclusione di questa allarmante analisi, è possibile intendere come una delle uniche strade percorribili per affrontare concretamente questa piaga sia l’averne consapevolezza. Già, perché seppur la Calabria sia una regione di cui si parla tanto, nel bene e nel male, questa tematica non ha mai guadagnato i riflettori nazionali, o, in alcuni casi, nemmeno quelli regionali. Dal 2014, anno di pubblicazione del dossier dei servizi segreti, ad oggi, raramente la cittadinanza ha dimostrato di essere consapevole dei rischi a cui andava incontro vivendo in alcune delle aree sopra menzionate. Talvolta si preferiva addirittura la retorica dell’ aria più pulita e del mare non inquinato del Sud, pur di nascondere la sabbia sotto al tappeto e di non affrontare le cose per ciò che erano. D’altronde si sa, l’unico modo per affrontare il tema della morte è quello di non pensarci.

In una vicenda così piena di segreti, di incertezze, di parole dette e non dette, di rivelazioni e di smentite, una sola cosa è invece certa: urge un cambio di rotta nella coscienza collettiva della popolazione.

(Immagine in evidenza di Repubblica.it)