Calabria, terra delle province desolate, terra di migranti. I calabresi sono abituati alla partenza, all’idea che prima o poi, quando diventerai grande, te ne dovrai andare. Perché “qui non c’è nulla”, “non puoi costruirti un futuro qui. Vattene e non tornare!”.
Così per decenni masse di uomini e donne si sono da sempre mossi verso un’aspettativa più ampia, un’idea di vita migliore nelle città del Nord Italia, in America o in Canada. Il primo flusso di migranti iniziò negli anni ’50, fatto di gente che aveva sperimentato la durezza della vita al Sud, la vita contadina mal retribuita, la carenza di beni primari come acqua, un tetto decente, mancanza di scuole, impossibilità di avere una formazione, una vita onesta, giusta, un futuro.
La Calabria svuotata dai giovani che vanno via
Ma oggi, ciò che ci allarma è il fatto che la maggior parte degli abitanti siano di una fascia d’età che non hanno mai visto tale durezza e che comunque decidono di recarsi altrove. Sono giovani compresi dai 15 ai 34 anni quelli che ogni anno lasciano i nostri paesi, città, province che sono oggi svuotate come bidoni che perdono acqua, con flusso sempre più costante di acqua che non risale, di gente che non ritorna. Secondo i dati allarmanti della Cgia di Mestre, rispetto al 2013 in Calabria ci sono 92mila abitanti in meno tra i 15 e i 34 anni. La Calabria è solo seconda alla Sardegna (-19,9%) come regione del Sud e subisce la flessione più importante con il -19%, seguita da Molise (-17,5%), Basilicata (-16,8%) e Sicilia (-15,3%), rispetto a una media nazionale di -7%. E nella classifica nazionale delle dieci province “svuotate”, quattro sono calabresi: Cosenza (-19,5) è la quarta più svuotata di giovani a livello nazionale, Catanzaro (-19,3%) la sesta, Reggio la decima (-18,8%).
Un flusso recidivo per via della situazione meridionale irrisolta
Quali sono le cause? Mancanza di investimenti, mancanza di lavoro, sfiducia nelle istituzioni? È purtroppo vero che la questione meridionale non è mai stata risolta, che il problema dell’emigrazione rappresenta tutto il meridione e finora i governi che si sono succeduti hanno provato a contrastare questo stillicidio con i presunti fondi del Pnrr e poi con l’istituzioni delle Zes – le Zone Economiche Speciali – che dovrebbero attrarre nuovi investitori e creare nuove forme di lavoro. Ma ad oggi non hanno ancora alcuna efficacia.
Il problema dei NEET in Calabria
Inoltre cresce in maniera esponenziale il numero di NEET (Not in education, employment or training), ovvero tutti coloro che non studiano e non lavorano. L’Italia è il paese europeo con più Neet (28,9 per cento) e la Calabria insieme alla Sicilia è la regione che detiene il primato per l’alta incidenza di questa categoria. Le quote della Calabria sono tra le più disarmanti (39,9%) e l’incidenza più alta si registra nella provincia di Crotone, dove più della metà delle e dei giovani residenti dai 15 ai 34 anni (il 51,4%) è nella condizione di Neet, seguita da quella di Reggio Calabria (47%).
E non avrebbe senso chiedersi quali siano le cause di un fallimento di tutti i governi perché i problemi riguardanti la situazione meridionale – come se fosse una cosa a parte, ma di fatto lo è – e della nostra regione sono evidenti e tangibili e vanno dall’istruzione alla sanità, dalla mancanza di lavoro alle infrastrutture assenti, per cui spostarsi anche per pochi km nella nostra regione è spesso un’impresa titanica.
Un flusso di giovani che lascia le nostre città sotto un’indifferenza latente
Ciò che c’è da chiedersi è come mai il problema di questo flusso giaccia sotto un’indifferenza latente. L’indifferenza di chi ai vertici governativi non riesce ad attuare strategie vincenti, perché è un male che c’è sempre stato, che non necessita di interventi urgenti o un’emergenza su cui adoperarsi in fretta. L’indifferenza anche di chi resta, di chi viva in maniera scontata che parte della propria famiglia non abiterà più le vie in cui ogni giorno dal barbiere c’era la fila, dal panettiere il pane era sempre fresco, fuori la scuola i bambini giocavano nei cortili, le strade erano vive e al bar i giovani si incontravano sempre per il caffè dopo il pranzo della domenica. Ora il barbiere è chiuso da anni, il panettiere non sforna sempre il pane e il pomeriggio è chiuso, i bambini non ci sono più, le strade sono deserte e il bar può contare su due anziani che la mattina bevono il caffè.
Ma questa non è un’emergenza. D’altronde questa non è una terra per giovani.
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