Nel 1861 venne proclamata l’Unità di Italia e tutto quello che si definiva un problema di qualcuno diventava da un giorno all’altro un problema di tutti.
Sulla carta però, perché per molti versi la divisione territoriale Nord – Sud in Italia resta una questione di divisione sociale. La questione meridionale ieri come oggi è un fenomeno che indica il divario sociale, economico e culturale che esiste tra il Sud e il resto della penisola. È derivato dal pensiero che chi vive nel Meridione vive in una realtà arretrata rispetto a un modello universale e generale, ovvero quello settentrionale che, incarna invece l’immagine di sviluppo e di progresso. Dall’Unità di Italia in poi, ma probabilmente anche da prima, il meridione è stato utilizzato come riserva sia di manodopera sia da un punto di vista intellettuale, di menti e di cervelli che sono stati costretti ad emigrare per la mancanza di quel progresso che invece c’era al Nord.
Il flusso emigratorio è sempre stato una costante ma negli ultimi 20 anni si è intensificato, dovuto anche ad una serie di politiche volte a soddisfare sempre più lo sviluppo capitalistico del Nord a discapito del miglioramento del Sud aumentando in questo modo il divario tra le due terre.
L’ INVERNO DEL SUD
La questione meridionale non è solo un fatto sociale e culturale, è un fatto politico che è diventato ormai istituzionalizzato e interiorizzato e viene influenzato dalla mancanza totale di una vera politica sul territorio.
I numeri parlano e dimostrano come “l’inverno demografico” si sta abbattendo maggiormente nelle regioni di Calabria, Sicilia, Puglia e Campania. Si definisce come il fenomeno migratorio dei giovani che hanno tra i 18 e i 35 anni e che stanno letteralmente svuotando l’intero Mezzogiorno. Secondo il rapporto annuale di Svimez – il Rapporto sull’Economia del Mezzogiorno – dal 2011 al 2023 il Mezzogiorno ha perso oltre un milione di residenti e il calo ha avuto intensità doppia nelle aree interne delle Regioni. Per Svimez il rischio è lo spopolamento e il gelo demografico con la perdita, nel 2080, di quasi 8 milioni di abitanti nelle terre del Sud.
Lo svuotamento delle terre con la “fuga di cervelli” ha ampliato la narrazione del divario sociale Nord-Sud lasciando pensare che i geni e le grandi menti potessero svilupparsi solo al Nord lasciandosi indietro quelli che non potevano farcela. Un Sud che per molti quindi resta indietro e arretrato.
PASTA, PIZZA E MANDOLINO: LO STIGMA DEI FIGLI DEL SUD
Le persone del Sud sono considerate come cittadine e cittadini di serie B e vengono molto spesso associate e associati a pregiudizi ben consolidati come l’affiliazione a contesti mafiosi, la nullafacenza connaturata, l’atteggiamento furbesco e la tendenza a delinquere.
La questione meridionale ha fatto presto a diventare una questione antimeridionale. Questa avversione contro il Sud esiste e se qualcuno non l’avesse ancora notata sarebbe bastato seguire la polemica sul web e in televisione sul cantante napoletano Geolier durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo, come rappresentazione divisiva dell’Italia di oggi su quello che è la questione antimeridionale.
La storia di Geolier ha evidenziato in maniera palese il pregiudizio nei confronti del Sud, ma di un Sud in particolare, come quello napoletano, calabrese e siciliano. Il giovane cantante è stato fortemente criticato ancora prima di potersi esibire sul palco solo per il testo della canzone, che è quasi interamente scritta in dialetto napoletano.
I dialetti della lingua del Sud sono stati considerati sempre in termini offensivi e inferiori rispetto quelli del Nord, come se si potesse gerarchizzare anche il linguaggio. I dialetti diventano quindi una questione di categoria. Che non significa definire un velleitario identitarismo ma piuttosto una lotta contro i pregiudizi. L’uso comune del dialetto del Sud viene visto con riguardo denigratorio al contrario di una parola usata appartenente al dialetto settentrionale. Basta pensare all’uso della parola “terrone” che, sebbene il milanese di Brera la utilizzi con toni dispregiativi, noi meridionali la rivendichiamo come sinonimo di orgoglio di appartenenza.
La questione di Geolier è stata ingigantita dalla tifoseria sfegatata, dalla voglia esagerata ed esasperata di vincere da parte dei napoletani, alimentando le male lingue. Qualcuno ha addirittura additato la responsabilità di questa fama e di tanto supporto alla camorra, proprio per continuare a cavalcare l’onda dello stereotipo che al Sud siano tutti mafiosi.
L’ antimeridionalismo si è dimostrato essere sempre più concretamente frutto della rappresentazione di un modello arcaico che tutt’oggi va a rappresentare la semplificazione del cittadino del Sud solo come simbolo d’ignoranza, di arretratezza e legato comunque alla delinquenza. Gli americani negli anni ‘50 hanno stigmatizzato l’italiano medio attraverso il modello meridionale di “pasta, pizza e mandolino” e non sembra sia cambiato molto da allora.
IL TRIONFO DELL’ANTIMERIDIONALISMO ISTITUZIONALE
L’antimeridionalismo dal punto di vista sociale e culturale non può che andare di pari passo al punto di vista politico. Non è quindi solo una questione di identitarismo ma di politica.
Il trionfo dell’antimeridionalismo sul piano politico prende vita a livello istituzionale con il disegno di legge di iniziativa governativa sull’autonomia differenziate delle Regioni Italiane. Questo disegno prevede l’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione Italiana introdotta nel 2001 e mira ancora una volta a ridefinire i rapporti fra Stato e Regioni. In poche parole, le materie inserite nell’art.116 comma 3 di competenza dello Stato diventerebbero di autonomia delle Regioni. Tra queste materie troviamo i rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio con l’estero, la tutela e la sicurezza del lavoro, l’istruzione, la ricerca scientifica, la tutela della salute, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, la finanza pubblica e il sistema tributario, la valorizzazione ambientale e dei beni culturali, le casse di risparmio, gli enti di credito e cosi via, la lista è lunga. Questo spiegherebbe perchè la secessione dei ricchi assicurerebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa. In questo modo, si accentuerebbero ancora di più le disuguaglianze tra i due poli del paese.
Le disuguaglianze regionali potrebbero diventare ancora più spaventose se salute, istruzione e tutela ambientale fossero lasciate al gioco delle regioni, con il gettito fiscale tenuto gelosamente in mano locale anzichè essere spartito equamente per le necessità di tutti. Immaginiamo se l’assistenza sanitaria fosse un lusso riservato solo ad alcune regioni, o se l’istruzione fosse un privilegio di pochi. Sembra già cosi? Vero! Ma potrebbe peggiorare aumentando le disuguaglianze regionali. L’autonomia differenziata è come il mago delle finanze: genera un surplus per le regioni già benestanti, facendo sparire il loro contributo ai fondi di perequazione regionale. Il fondo perequativo (fatto di soldi statali) è quel fondo che garantisce che in tutte le Regioni, a prescindere dalla capacità di ricavare risorse fiscali dal loro territorio, siano rispettati gli stessi standard nella prestazione di determinati servizi. In questo modo lo Stato supporta le Regioni che non arrivano a coprire e a garantire i diritti di tutti. Per questo motivo il Meridione è quello che rischia le conseguenze più pesanti. L’accesso all’assistenza di base sarebbe minacciato e i servizi essenziali diventerebbero un miraggio per pochi.
Per Luca Bianchi – direttore della Svimez – per superare queste disuguaglianze dobbiamo adottare un approccio più graduale che riequilibri la spesa attraverso l’apporto di risorse aggiuntive – senza una redistribuzione equa, il Sud rischia di rimanere indietro mentre le regioni “virtuose” del Nord continuano a trattenere risorse che potrebbero essere vitali per il bene di tutti.
IL RISCATTO DELLA CONTRO NARRAZIONE
La domanda quindi sorge spontanea: come si può far emergere i problemi legati alla realtà del Sud e invertire la rotta?
È indispensabile comprendere i fattori che hanno definito l’antimeridionalismo attraverso delle dinamiche che non sono insite nei territori del Sud dalla notte dei tempi, non siamo nati così. Vengono da dinamiche di potere e di politica stratificate in anni e decenni che sono molto complesse. È sempre più palpabile quella narrazione dominante che ci ha incastrato e da cui sembra impossibile uscire. Per molti versi alcuni di noi in qualche modo internalizzano il meridionalismo in quella narrazione negativa, molti accettano e assimilano di indossare il vestito dello stereotipo della propria regione di origine: a lavoro, fra gli amici, in televisione, attraverso le riforme politiche che non migliorano la vita nel Meridione. Lo vediamo ovunque.
È fondamentale non fare affidamento solo su narrazioni egemoniche, che rappresentano una parziale verità, facendo vedere lo stereotipo negativo del Sud come l’unica versione in un contesto che sembra monolitico.
Quella storia è narrata solo per metà.
Oggi ci sono tantissime realtà del Meridione e nel Meridione, molto forti e ben radicate, che stanno lottando quotidianamente per emergere tanto dal punto di vista politico quanto da quello sociale e culturale, così da potersi riappropriare del proprio spazio. L’obiettivo è quello di poter parlare del Meridione in termini più positivi a discapito di quelli negativi, che hanno determinato lo stereotipo in tutte le sue accezioni, e ridefinendo quindi una nuova versione del Sud Italia.
Per questo è necessario e indispensabile cercare di scomporre e dividere quella narrazione negativa in piccoli pezzi, ricomporla attraverso una contro narrazione più positiva della rappresentazione del cittadino del Meridione. Bisogna lavorare sulla ridefinizione della nostra identità, per poterci riscattare da quell’atteggiamento dominante che in passato ha provato a schiacciarci.