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“Il mare nascosto”: reinvenzione e sfida cinematografica. L’intervista al regista Luca Calvetta

È stato presentato, lo scorso 29 giugno all’Ischia Film Festival, il film dal titolo Il mare nascosto, primo lungometraggio e opera seconda di Luca Calvetta, indipendente e interamente realizzata con strumenti amatoriali, senza il sostegno di enti pubblici ma, ad ogni modo, riuscita, grazie all’estro creativo dell’autore e alla partecipazione di un cast artistico di livello che ha creduto con fermezza nel progetto.

Il mare nascosto, un film da leggere come un libro e un libro da guardare come un paesaggio. Un’opera poetica e politica insieme che, ispirandosi liberamente alla fiaba de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, racconta il pellegrinaggio di un ragazzo venuto da lontano e in cerca del proprio posto nel mondo. È un viaggio, dunque, che non riguarda soltanto l’attraversamento fisico di luoghi sconosciuti – in un sud che, per quella sua bellezza fragile, somiglia in fondo a tutti gli altri – ma anche e soprattutto la profonda scoperta di sé; un processo volto alla risoluzione interiore di un conflitto che, di conseguenza, rende possibile l’apertura fiduciosa verso il futuro. Da dove nasce la storia? Cos’hai voluto raccontare? 

Il mare nascosto nasce dal desiderio di far parlare i luoghi e dar voce agli ultimi, ai banditi che stanno ai margini; di raccontare le ferite e la bellezza di un sud abbandonato, troppo spesso rinchiuso in visioni stereotipate, monocrome, per aprirlo e farlo diventare, oltre che un luogo fisico, anche una condizione interiore, quasi metafisica. Luoghi e personaggi rappresentati non hanno nomi. Lo spazio e il tempo perdono la loro esattezza, come accade nei sogni. Non a caso, lo spunto dal quale sono partito è la favola de Il piccolo principe, e quindi un viaggio di ricerca sospeso tra realismo e immaginazione. Anche questo pretesto narrativo viene però completamente stravolto, rovesciato, reinterpretato, sovrapposto ad altri riferimenti letterari e filosofici (Pasolini, Romain Gary, Darwish, e probabilmente tutto l’orizzonte dei miei studi fino al Dottorato in Teoria Politica). Pur essendo prima di tutto un lavoro poetico e politico, Il mare nascosto è comunque anche una forma di autobiografia indiretta, come sempre in qualche modo è l’arte, perché io stesso appartengo a tanti luoghi, culture, lingue. Io stesso, e forse ciascuno di noi, sono/siamo sempre alla ricerca della nostra identità, in un viaggio che non termina mai. Raccontare questa ricerca, questa incompletezza individuale e collettiva, interiore e geografica, è allora la scelta fondamentale del film.

Il film è un film corale e, a livello espressivo, si configura come un ibrido: un po’ fiction, un po’ documentario, un po’ teatro. La narrazione sfugge all’idea di una struttura evidente e definita, e declina al contrario in un’esperienza che cattura i sensi e coinvolge concretamente, oltre che il personaggio, lo spettatore. La parola ha un ruolo predominante, per certi versi fa il racconto e ne determina la potenza emotiva. Tuttavia, il lirismo scaturisce da più elementi: dall’accompagnamento musicale, per esempio, nonché dal modo specifico e particolarmente evocativo di concepire e costruire l’immagine. In alcuni momenti, ci si abbandona alla visione e al silenzio al punto da perdere il contatto con la realtà. Si partecipa a qualcosa di inedito e spirituale varcando la soglia di un’altra dimensione. Che significato hai attribuito a questo spaesamento e in cosa consiste, quindi, il tuo progetto d’innovazione rispetto alle potenzialità del mezzo cinematografico?

Sono felice che tu dica questo, e ti ringrazio perché è esattamente ciò che ho tentato di esprimere: uno spaesamento, fisico e interiore. In effetti, Il mare nascosto parla di confini, per sfumarli, superarli, confonderli. I confini geografici, naturalmente, rispetto al tema dell’immigrazione, ma anche e soprattutto quelli simbolici. I confini tra le discipline, ad esempio: il cinema, il teatro, il documentario, la pittura. I confini tra passato e presente, tra realtà e immaginazione, tra il narratore e i personaggi. I confini tra l’interno del teatro in cui siede il personaggio principale, interpretato da Ascanio Celestini, e l’esterno, lo spazio infinito del mare. Ed infine, forse, come dici, i confini tra il film e chi lo guarda, lo spettatore, perché divenga parte attiva del viaggio. Per questo motivo le scelte di regia, scrittura, fotografia, montaggio, non sono lineari, non spiegano tutto, non offrono un prodotto già pronto, ma invitano lo spettatore a riempire con le proprie risposte, con la propria sensibilità, gli spazi lasciati aperti. Questa volontà di coinvolgere, di incontrare lo spettatore, non è una semplice scelta estetica, ma una visione politica dichiarata: non solo la prospettiva a partire dalla quale raccontiamo la storia non è mai neutrale (decidiamo cosa includere e cosa lasciare fuori dal racconto), ma solo nelle definizioni aperte, incomplete, ambigue perfino, rimane uno spazio per accogliere gli altri, si tratti di stranieri o di tutte le identità che ci portiamo dentro. Perché tutti siamo stranieri e tutti siamo una colorata, confusa, vitale pluralità di mondi che coesistono.

…ma Il mare nascosto è una sfida a più livelli e, al di là degli aspetti legati alla drammaturgia, credo sia opportuno parlare del percorso realizzativo del film e delle difficoltà produttive che hai dovuto affrontare. In che misura tutto questo ha influenzato le tue scelte e modificato il tuo sguardo artistico? Quanto pesano oggi i sacrifici e i compromessi che immagino siano stati necessari sia in preparazione che sul set? Li consideri, alla fine, punti di forza o debolezze?

Il mare nascosto è un film autoprodotto, realizzato a bassissimo costo con strumenti amatoriali e da non-professionisti del cinema, ad eccezione del fonico di presa diretta e di parte degli attori. È importante dirlo perché non ho fatto ricorso a finanziamenti di alcuna Film Commission o del Ministero, a società di produzione o distribuzione… Questo ha richiesto un enorme impegno, per più di due anni, perché non era il mio mestiere. Non ho studiato regia o cinema e ho dovuto imparare ogni giorno ad affrontare le mille situazioni che nascono dall’idea di fare un film: dalle questioni artistiche di scrittura e realizzazione, a quelle organizzative, burocratiche, logistiche. È stata una vera scuola per me, ho fatto davvero di tutto per questo film. Devo ringraziare tante persone generose ovviamente, dai grandi attori con cui ho avuto il privilegio di lavorare e che si sono fidati di uno sconosciuto, agli amici o ai semplici estranei che hanno sostenuto il progetto nonostante fosse lontano dalle loro occupazioni quotidiane. Il sostegno della mia famiglia è stato poi fondamentale. Certo, lavorare con mezzi quasi ridicoli rispetto alle normali produzioni cinematografiche, senza figure professionali impiegate specificatamente nei vari settori della realizzazione, ha significato senza dubbio rinunciare a tante idee ma, allo stesso tempo, mi ha permesso di inventare, creare soluzioni, ed è stato fonte di grande stimolo. Sarebbe stato forse più semplice seguire la strada istituzionale, classica, ma non avrei mai avuto la libertà di esprimere ciò che sentivo e di fare un film che, al di là dei gusti, è certamente fuori da ogni schema. Questa era per me la priorità. Restare libero, dare al film una precisa identità. Ci sono riuscito, penso. E sono perciò orgoglioso di aver superato tanti limiti. 

Guardando al ruolo della Calabria nel film, cosa ti aspettavi di trovare e cos’hai trovato nel territorio? Qual è il valore che gli hai dato e che, secondo te, sei riuscito a far emergere in una prospettiva non esclusivamente narrativa?

La Calabria è la vera protagonista di questo film insieme ai personaggi e forse perfino oltre i personaggi, ma si tratta di una Calabria che vuole farsi universale e superare, come abbiamo detto, confini e definizioni, aprirsi al mondo, accoglierlo nella sua diversità. Un sud che è ogni sud della Terra. Per girare Il mare nascosto abbiamo percorso quasi 30.000 km perché volevo mostrarne le facce più nascoste e misteriose, borghi abbandonati e coste, boschi, città e tradizioni antiche, senza nascondere nulla, senza farne una cartolina, ma posando anche sulle sue ferite uno sguardo di compassione. Poi, secondo una lettura per certi versi “psicanalitica” de Il piccolo principe, possiamo descrivere la favola come la storia di un bambino che per varie ragioni non riuscirà, alla fine del suo viaggio, ad emanciparsi dal passato ed esprimere le potenzialità che custodisce dentro: ecco, la Calabria è una terra dalle mille risorse, sempre sul punto di nascere o rinascere, ma che sfortunatamente rimanda di continuo ad un tempo avvenire questa primavera. Il mare nascosto parla proprio di questo in fondo: della lotta che ciascuno di noi vive ogni giorno con il proprio passato, con le proprie macerie, con il mondo intorno, per diventare se stesso. 

Il mare nascosto è stato presentato lo scorso 29 giugno all’Ischia Film Festival, e ora? Che consiglio daresti a un qualsiasi giovane autore emergente che, con tanti validi sogni e idee nel cassetto, rischia magari di rinunciarvi a causa dell’ipotetica assenza di sostegno economico?

La selezione all’Ischia Film Festival è stato un importante riconoscimento per un film realizzato con mezzi tanto limitati e senza nessuna società di distribuzione a sostenerlo. Bisogna dare atto ai selezionatori e al Direttore artistico del coraggio avuto. Il mare nascosto continua ora la sua corsa, con nuove selezioni ufficiali in altri festival ormai imminenti. Sarà in competizione alla Mostra Internazionale del Cinema Sociale (Social World Film Festival) di Vico Equense, che vedrà tra i tanti ospiti anche Matteo Garrone, e all’Ortigia Film Festival, in una splendida sezione (non competitiva) che si chiama La voce del mare. Arriverà qualcos’altro, ma per il momento non posso anticipare nulla. Più in generale, vedremo strada facendo cosa accadrà. Sicuramente io farò il possibile affinché il film possa raggiungere un numero elevato di persone.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, io credo che Il mare nascosto dimostri due cose: da un lato, fa riflettere su un Paese che, nel cinema come in molti altri settori, dovrebbe rimettersi in discussione e aprirsi con coraggio alle novità, per sostenerle e prendersi cura di tutto l’immaginario e la bellezza che altrimenti rimangono inespressi, imparando a rischiare, a sbagliare anche, senza accontentarsi di difendere l’esistente; e, dall’altro lato, ci ricorda che a volte non servono solo coraggio, fatica, immaginazione, e che la cosa più importante è avere qualcosa da dire, al di là degli strumenti che si hanno a disposizione. Perché quando si ha realmente qualcosa da dire, quando si usa la propria voce unica e irripetibile, qualcuno ad un certo punto la ascolterà. È pieno di film e opere tecnicamente perfette, ma che non dicono nulla o ripetono copioni consunti. Le voci vere invece sono rare, molto rare. Non importa che siano strane, stonate, asmatiche. Conta imparare ad ascoltarle. Fuori e dentro di noi, senza paura.