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Il buco: il nuovo film di Michelangelo Frammartino

A distanza di 11 anni dal suo ultimo film, Le quattro volte, Michelangelo Frammartino torna dietro la macchina da presa a dirigere per il grande schermo: il risultato di questo ritorno è Il buco, pellicola dalla straordinaria potenza lirica. 

Tratto da una storia vera, il film si colloca in quel filone artistico contemporaneo che per la sua vicinanza a ciò che viene raccontato è definito “cinema del reale”. Lo stesso Frammartino afferma che l’idea che ha dato vita a Il buco non è stata partorita nella solitudine della propria camera di fronte a un foglio di cronaca, ma prende forma da un contatto continuo tra l’ispirazione artistica del regista e la realtà circostante. E la realtà rappresentata è quella della Calabria più colorata, di quei paesi isolati dal resto del mondo che costituiscono ancora oggi un’eredità caratteristica di una terra che fatica a trovare una propria identità. Le scelte registiche di Frammartino sono pure come i paesaggi inquadrati dalla lente della camera: incontaminati. 

Il buco: trama del film

La trama è semplice: nel 1961 un gruppo di speleologi del Gruppo Speleologico Piemontese decide di addentrarsi all’interno della grotta del Bifurto, un “inghiottitoio” di ben 687 metri che si apre sulle cime del Pollino, ad oggi riconosciuto come Geosito dall’UNESCO. La scoperta e la conseguente esplorazione avvengono un anno dopo la fine della costruzione del grattacielo Pirelli a Milano, di ben 132 metri, simbolo e segno del nuovo boom economico e del fervore che pervade l’intero paese. Nella lontana Calabria, tuttavia, di questo boom economico si parla poco, le sole notizie che si hanno dal ben più “civilizzato” Nord sono trasmesse dall’unico televisore presente in paese, nel bar della piazza centrale.

La critica sociale e l’elevazione verso l’alto

Ed è già qui che possiamo riscontrare uno dei segni principali della grandezza lirica dell’opera di Frammartino, che solo attraverso immagini e suoni (il film è praticamente privo di qualsiasi forma di dialogo) è in grado di catapultarci in un’esperienza sensoriale che comprende anche un’importante critica sociale, esposta con maestria tecnica e con un’umiltà rara. In una struttura di memoria quasi Dantesca, alla discesa nel buio che fagocita ogni forma di luce nella profondità della grotta, in maniera speculare dall’altra parte del paese si celebra un’elevazione, una tendenza verso l’alto che si accompagna alla speranza di un futuro prospero e alla sicurezza di un cambiamento imminente. 

Frammartino racconta di come l’idea per il film sia nata durante le riprese di Le quattro volte sulla cima del Pollino, e di come grazie a un abitante del posto abbia potuto scoprire l’ingresso del Bifurto. 

Accanto alla volontà di fare un film per documentare un avvenimento, guardando Il buco non si può non notare come la pellicola rappresenti anche la personale volontà del regista di maneggiare un argomento ostico con cui confrontarsi tanto cinematograficamente quanto umanamente: il buio. 

La luce tuttavia non è la grande assente tematica e tecnica della pellicola, ma si configura anzi come mezzo attraverso la quale le profondità della terra vengono rivelate allo spettatore, quasi una conditio sine qua non, senza la quale, appunto, il buio non avrebbe la stessa carica drammatica. 

Dal punto di vista tecnico l’esecuzione è magistrale: Frammartino ci porta a riscoprire l’importanza del fuoricampo come elemento che conferisce al film una sua “pienezza” espressiva. Tuttavia è il sonoro forse il vero protagonista del film: tramite l’utilizzo della tecnologia Dolby Atmos l’esperienza sensoriale è totalizzante e si ha l’impressione di poter realmente percepire il gorgoglio dell’acqua, lo scalpiccio degli zoccoli delle mucche sul fango, i richiami del solitario pastore e gli echi delle profondità della grotta del Bifurto. Il film è evidentemente molto sentito dal regista, che si improvvisa addirittura speleologo arrivando a girare a oltre 400 metri di profondità, accompagnato da una troupe di eccezionale valore. 

È affascinante anche analizzare il contrasto tra l’anziano pastore, “relegato” in superficie e ormai prossimo alla fine dei suoi giorni e la forza vitale dei giovani speleologici che compiono un ritorno all’entroterra quasi come se si trattasse di un ritorno alle origini, al grembo materno. Per questa lettura e per tanti altri motivi, Il buco non trova una collocazione in un singolo genere: quest’opera è un’esperienza, un viaggio al centro della terra che contemporaneamente compie un ritorno alle origini del cinema e spiana la strada per una nuova cinematografia, fatta di un sincero e profondo amore per ciò che viene raccontato e un’attenzione autentica e rara al come raccontarlo.